Le origini di questo sito - Desistenza Terapeutica Italia - Associazione Italiana per le Decisioni di Fine Vita

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Le origini di questo sito

Desistenza Terapeutica

Il 28 gennaio 2008 è nato il sito www.desistenzaterapeutica.it per merito di un gruppo di professionisti di settori diversi della nostra società che si sono trovati concordi sull'approfondire e far circolare il concetto di desistenza terapeuitica. In questa pagina si trovano gli articoli di apertura del sito.

Con desistenza terapeutica si intende l'atteggiamento terapeutico con il quale il medico desiste dalle terapie futili ed inutili. La desistenza terapeutica è un concetto che proviene dall'ambito medico dell'anestesia-rianimazione e si applica nei confronti dei pazienti malati terminali. La desistenza terapeutica ha la sua base nel concetto di accompagnamento alla morte secondo dei criteri bioetici e di deontologia medica già stabiliti. La desistenza terapeutica non ha niente a che fare con l'eutanasia, da cui anzi prende le distanze, e vuole combattere l'accanimento terapeutico.

IL PERCHE' DI QUESTO SITO

La desistenza terapeutica viene anche definita come eutanasia passiva volontaria. In realtà ritengo che tale definizione sia molto discutibile e che non renda conto del reale stato delle cose.
Ho aperto gli occhi sulle problematiche relative alla desistenza terapeutica nell'estate del 2007, quando ho avuto la fortuna di ascoltare un intervento del senatore Ignazio Marino, Presidente della Commissione Sanità del Senato,  che, presentando i dati dello studio GiViTi (Gruppo italiano per la Valutazione degli interventi in Terapia intensiva), sottolineava l'importanza del problema legato alla desistenza terapeutica soprattutto per quanto riguardava il numero di pazienti coinvolti e le figure professionali o meno che ne venivano coinvolte.
Durante il corso universitario di Medicina e Chirurgia si apprendono sicuramente degli elementi importanti per la professione, ma non viene approfondita la componente etica e bioetica. Ecco che quindi la maggior parte delle decisioni che coinvolgono un professionista sanitario sono frutto delle sue conoscenze, personalità, cultura, sensibilità, umore, ed esperienza. Ma questo non è sufficiente quando si tratta di decidere della vita umana perché ci vuole anche un indirizzo bioetico ben definito. A questo si aggiunge anche il fatto che vi è la mancanza di sostanziali e specifici articoli del Codice penale e civile sulla materia nonché delle carenze nello specifico da parte del Nuovo Codice di Deontologia medica.
Bisogna riuscire ad arrivare a definire meglio il concetto di desistenza terapeutica da un punto di vista giuridico, deontologico, etico e religioso, perché il professionista sanitario possa affrontare con maggiore consapevolezza del proprio ruolo le decisioni di fine vita e perché i pazienti ed i loro parenti abbiano ben chiari i loro diritti e doveri da tutti i punti di vista.  
Questo sito affronta le problematiche connesse alla desistenza terapeutica ben sapendo che in esse si cela il dolore di una vita alla sua fine, ma proprio per questo mi rendo conto che abbiamo bisogno delle idee e del sostegno di tutti per aiutare il prossimo ma in definitiva anche noi stessi.

Dott. Cristiano Samueli


LA NOSTRA VITA PROFESSIONALE NON PUO' ESSERE

La vita professionale non può essere “altro” rispetto alla nostra vita, intesa come insieme di esperienze individuali, comunitarie, professionali, morali, familiari. E’ illusorio credere di poter “staccare la spina” ; non possiamo eludere il fatto che i nostri “incontri professionali” sono prima di tutto esperienze umane che permeano, condizionano e sono condizionati; le nostre attività, le nostre decisioni e le nostre scelte, anche nell’intimità del quotidiano, rispecchiano questa circolarità esperenziale.
In questo senso viviamo tutti i giorni il conflitto tra possibili opzioni di cura; questo conflitto non è solo un collo di bottiglia tra diverse scelte diagnostico-terapeutiche ma la sintesi delle motivazioni del nostro agire in quel dato contesto sociale, in quel dato rapporto relazionale medico-paziente-familiari e rispecchia il nostro grado di autonomia, di autorevolezza e di responsabilità.
Nell’ambito della propria Comunità, la professione medica deve conquistarsi un “ruolo competente”  ben determinata nel far valere anche i propri diritti: i professionisti della salute non devono essere lasciati soli!
In questo senso affermiamo con forza che è compito della Comunità fare sintesi sui valori comuni e ricercare il senso del nostro stare insieme. Oggi come mai, nella storia recente, sentiamo il bisogno di riprogettare, di ricostruire forse di rifondare la nostra vita comunitaria. In questo senso da sempre la medicina è una sintesi tra scienza ed arte relazionale, fondata su valori individuali e collettivi che si perpetuano ma anche si evolvono con l’evolversi della storia dell’uomo. Il Codice di Deontologia medica è sostanzialmente questa sintesi: la professione si è unita intorno a comuni valori!
Questo nostro percorso di condivisione e di riflessione deve essere portato all’interno delle Comunità; dobbiamo avere oggi il coraggio di “imporre” il dibattito sui comuni valori e fare sintesi intorno alla Persona.
Il medico oggi vive una crisi profonda, crisi di “adattamento” e crisi di “scelte” tra falsi saperi e false conquiste (false anche perché spesso inapplicabili), un cittadino “esigente” e non più “paziente”, una formazione  sempre più parcellizzata e meno umanistica ed umanizzante.
Facciamo diagnosi sofisticate ma non sappiamo “curare”; applichiamo metodi e tecnologie straordinarie ma non sappiamo nulla della persona, nemmeno in quale contesto vive e di quale assistenza potrà usufruire nel suo ritorno a casa dopo un ricovero!
Desistenza Terapeutica, Accanimento Terapeutico, Eutanasia, Omicidio di Consenziente, Suicidio Assistito non possono rimanere che vuoti esercizi semantico-giuridici se non avremo il coraggio di definire cosa intendiamo oggi per accoglienza ed accompagnamento.
Da questi concetti deve partite il nostro percorso di condivisione civile e professionale ed in questo dibattito si inserisce l’impegno del Collega ed Amico Cristiano Samueli che offre a tutti noi un contenitore-laboratorio di riflessioni e di proposte; noi lo ringraziamo per il coraggio, la competenza e la determinazione con i quali ci offre questa opportunità.


Dott. Maurizio Scassola
Presidente OMCeO Venezia


"la gioventù, in fondo, è più solitaria della vecchiaia". Questa massima che, ho letto in qualche libro mi è rimasta in mente e l'ho trovata vera; è vero che qui gli adulti trovano maggiori difficoltà che i giovani? No, non è affatto vero. Gli anziani hanno un'opinione su tutto, e nella vita non esitano più prima di agire. A noi giovani costa doppia fatica mantenere le nostre opinioni in un tempo in cui ogni idealismo è annientato e distrutto, in cui gli uomini si mostrano dal loro lato peggiore, in cui si dubita della verità, della giustizia e di Dio.
Chi ancora afferma che qui nell'alloggio segreto gli adulti hanno una vita più difficile, non si rende certamente conto della gravità e del numero di problemi che ci assillano, problemi per i quali forse noi siamo troppo giovani, ma ci incalzano di continuo sino a che, dopo lungo tempo, noi crediamo di aver trovato una soluzione; ma è una soluzione che non sembra capace di resistere ai fatti, che la annullano. Ecco la difficoltà di questi tempi: gli ideali, i sogni, le splendide speranze non sono ancora sorti in noi che già sono colpiti e completamente distrutti dalla crudele realtà. È un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell'intima bontà dell'uomo. Mi è impossibile costruire tutto sulla base della morte, della miseria, della confusione. Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte l'avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure, partecipo al dolore di milioni di uomini, eppure, quando guardo il cielo, penso che tutto volgerà nuovamente al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritorneranno l'ordine, la pace e la serenità. Intanto debbo conservare intatti i miei ideali; verrà un tempo in cui forse saranno ancora attuabili."

Annelies Marie Frank


Omicidio del consenziente tra dissenso terapeutico e adempimento del dovere
Da Dossier Lex24 del settembre 2008


[si deve] riflettere sul non secondario problema che anzi è di scottante attualità posto dall'autodeterminazione della vittima che si ritenga vittima di un accanimento terapeutico e per questo esprima il consenso all'interruzione delle pratiche mediche salvifiche.
L'interrogativo è semplice quanto apparentemente insolubile: risponde di omicidio del consenziente il medico che, su richiesta del malato, "stacca la spina" ? O non è punibile perché agisce in adempimento degli obblighi costituzionali di rispetto della volontà del paziente?



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