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Sono 35 in Friuli le persone che vivono come Eluana

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Chi non resta in ospedale va nelle Rsa o nelle case di riposo
Le più gravi sono prima assistite nei centri di riabilitazione, poi nell’unica struttura per acuti a Cividale

di Giacomina Pellizzari

Il caso di Eluana Englaro tocca le coscienze, ma in pochi sanno che solo nel territorio di competenza dell'Azienda sanitaria "Medio Friuli" si contano 35 pazienti in stato vegetativo. La metà è ricoverata nei reparti ospedalieri, 10 sono assistiti a domicilio, 7 hanno trovato posto nelle Residenze sanitarie assistenziali (Rsa), uno in casa di riposo. Un vero dramma per le famiglie che da anni continuano a sperare in un risveglio assai improbabile. La questione è complicata non solo per i parenti divisi sulla scelta di Beppino Englaro che dopo anni di battaglia ha ottenuto dalla Corte d'appello l'autorizzazione a staccare la sonda gastrica che da 16 anni tiene in vita la figlia, ma anche per chi gestisce i pochissimi centri specializzati nella cura dei pazienti in stato vegetativo con il personale ridotto all'osso. In Friuli oltre ai 12 letti di riabilitazione presenti nell'Azienda ospedaliero-universitaria e al Gervasutta altri 4 sono stati allestiti nel reparto di Medicina interna per acuti dell'ospedale di Cividale. Qui vengono accolti i casi più gravi. Esaurite queste disponibilità, per chi non può contare sul supporto dei familiari si aprono le porte delle Rsa e delle case di riposo. «Il Piano di riabilitazione del Friuli Venezia Giulia ha studiato il problema, ma è fuori dubbio che la tematica va ripresa in mano» commenta il direttore sanitario dell'Azienda per i servizi sanitari "Medio Friuli", Branka Vujovic, nel sottolineare che i pazienti accolti nei vari reparti sono assistiti con piani personalizzati garantiti anche a domicilio. Troppo poco per un dramma con risvolti psicologici tutt'altro che trascurabili. Tant'è che a Cividale le richieste di ricovero sono continue. «Se volessi riempirei il reparto» conferma il primario, Nicola Laperchia, nell'evidenziare che si tratta di «pazienti rianimati dopo un arresto cardio-circolatorio o dopo un grave trauma e passati in condizione di anossia cerebrale e col tempo in stato vegetativo.
Respirano con l'aiuto di una canula tracheostomica, vengono nutriti con sonda gastrica e hanno un catetre vescicale permanente. Non capiscono, non intendono, hanno bisogno di assistenza continua». In questo stato vivono per anni, basti pensare che a Cividale un cinquantottenne, a seguito dei traumi riportati in un incidente stradale, è in coma da otto. Un caso analogo a quello di Eluana Englaro. «Eluana non è l'eccezione» conferma il primario della Terapia intensiva dell'Azienda ospedaliero-universitaria Santa Maria della Misericordia, Francesco Giordano, costretto a dimettere più di qualche paziente in stato vegetativo. «Alle volte dopo un percorso lungo guariscono, ma se questo non accade entro un anno le possibilità di ripresa sono quasi nulle. Per Eluana non c'è più possibilità» spiega Giordano, nel far notare, però, «che in Friuli quasi la totalità delle famiglie chiede ai medici di fare il massimo. Solo in qualche raro caso capita il contrario». I medici, in effetti, non possono staccare la spina o la sonda che tiene in vita un paziente: «In Italia la legislazione non ce lo consente» insiste Giordano, sottolineando che nel caso di Eluana «il sondino lo staccherà il padre non il medico». E quando succederà «Eluana morirà di fame e di sete, una morte che naturalmente può avvenire dopo circa un mese». Giordano è convinto, infatti, che anche se la giovane donna non soffrirà perché sarà sedata, questo caso rischia di aprire nuovi fronti giudiziari. Sono in molti a ritenere la morte di Eluana un caso di eutanasia. Tra questi l'associazione laica Scienza e vita.

(20 luglio 2008)

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