Presentazione del Secondo Simposio - Desistenza Terapeutica Italia - Associazione Italiana per le Decisioni di Fine Vita

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Presentazione del Secondo Simposio

Eventi a cui ha partecipato AIDeF > Secondo Simposio sul fine vita - Mestre 16 maggio 2009

PRESENTAZIONE DEL SECONDO SIMPOSIO NAZIONALE SULLE PROBLEMATICHE DI FINE VITA: "Etica dell'accompagnamento e desistenza terapeutica"


Con desistenza terapeutica si intende l'atteggiamento terapeutico con il quale il medico desiste dalle terapie futili ed inutili. La desistenza terapeutica è un concetto che proviene dall'ambito medico dell' anestesia-rianimazione e si applica nei confronti dei pazienti malati terminali. Dice il Dott. Davide Mazzon, relatore del Secondo Simposio Nazionale sulle problematiche di fine vita: "La finalità dei trattamenti effettuati in Terapia intensiva è quella di sostenere temporaneamente le funzioni vitali, soprattutto quella respiratoria e quella cardiocircolatoria, di un organismo gravemente malato. L'obiettivo è guadagnare tempo, mentre si cerca di trattare la malattia di base. Nella pratica può, però, accadere che quest'ultima non sia più curabile e ciò rende la sostituzione delle funzioni vitali progressivamente inefficace, fino a constatare il sicuro insuccesso dei trattamenti in atto. Quando ciò accade, diviene addirittura doveroso desistere da quei trattamenti che hanno come unica conseguenza un penoso e inutile prolungamento dell'agonia del malato giunto alla fase terminale. Porre limiti ai trattamenti intensivi nei pazienti senza alcuna speranza di sopravvivenza è in linea con i più autorevoli documenti in materia, sia del Comitato nazionale di bioetica sia delle Società scientifiche, nonché con il Codice di deontologia medica… Non è superfluo ricordare, comunque, che nell'attuare la desistenza terapeutica i medici non abbandonano mai il paziente e si impegnano anzi ad alleviarne le sofferenze con le cure palliative, mirate a controllare il dolore e l'ansia che il paziente accusa negli ultimi momenti di vita" (da un'intervista di Isabella Bordogna in Corriere della Sera Salute - 12/06/03).
La desistenza terapeutica ha la sua base nel concetto di accompagnamento alla morte secondo dei criteri bioetici e di deontologia medica già stabiliti. Così il Prof. Corrado Viafora, relatore del Secondo Simposio Nazionale sulle problematiche di fine vita, introduce questo fondamentale concetto: "Un aspetto nuovo che oggi caratterizza il morire è il fatto che, data la crescente incidenza delle malattie croniche e degenerative unite agli attuali trattamenti medici che permettono di rallentarne il processo, in molti casi il morire subisce un notevole "prolungamento". E così capita che le "prove" che da sempre accompagnano il morire assumano, per la conseguente "diluizione" nel tempo che questo prolungamento comporta, un peso molto più grave… E' praticabile nei confronti del malato terminale una strategia diversa che non sia quella dettata dall' "igienismo sociale" e dalla "volontà di dominio"? E' questa la sfida da cui nasce l'etica dell'accompagnamento". (Per un'etica dell'accompagnamento di Corrado Viafora - testo pubblicato in "Bioetica. Rivista interdisciplinare", 1/1996).
La desistenza terapeutica non ha niente a che fare con l'eutanasia, da cui anzi prende le distanze, e vuole combattere l'accanimento terapeutico. Ecco come lo spiega efficacemente il Dott. Luciano Orsi, relatore del Secondo Simposio Nazionale sulle problematiche di fine vita: " Tutta la più recente riflessione bioetica identifica l'"eutanasia" con qualsiasi azione che porta intenzionalmente e deliberatamente a morte il malato per porre termine con esso alla sua sofferenza. Per "eutanasia", nell'accezione più appropriata del termine, si deve quindi intendere esclusivamente la soppressione intenzionale della vita di un paziente. Nulla a che vedere quindi con la desistenza da provvedimenti terapeutici che abbiano come unica conseguenza il prolungamento del processo del morire, e con esso l'agonia del malato terminale, senza alcuna utilità per il malato stesso. Come conseguenza di questa confusione concettuale e terminologica, la desistenza da cure inappropriate per eccesso viene infatti talvolta impropriamente giudicata anche dai medici nel nostro paese un atto eutanasico. Questo errore porta a confondere il "lasciar morire" (appropriata desistenza o limitazione terapeutica) un paziente terminale, senza travolgerlo con trattamenti per lui di nessuna utilità, con il "dargli la morte" (eutanasia in senso stretto)." (da Etica del morire e cure intensive di Davide Mazzon e Luciano Orsi)
Accompagnare verso la morte il malato in fase terminale, sospendendo ogni cura che mira esclusivamente a prolungarne artificialmente l'agonia della persona e sostituendo ad essa una terapia per alleviare il dolore del paziente diventa l'unico modo per garantire dignità al morente, elevandone la qualità di fine vita.
Nasce con questo spirito il "Secondo Simposio Nazionale sulle decisioni di fine vita: etica dell'accompagnamento e desistenza terapeutica" organizzato dall'Ordine dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri della provincia di Venezia che ha avuto il merito di capire che è  fondamentale abbattere quel muro che porta a ignorare l'esistenza di una questione che invece appartiene alla quotidianità di quanti, tra medici e familiari, si trovano a contatto con i malati terminali.

Dott. Cristiano Samueli


S.Giorgio da Piazza S. Marco - opera di Roberto Merelli
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